Santuario Arcagna, gabon e cappella Votiva

Ultima modifica 10 ottobre 2022

La chiesa si trova posizionata ancor oggi sopra una altura che a sinistra scende declinando verso una zona pianeggiante l’aulico letto dell’Adda, che ha lasciato in passato una mortizza chiamata in antichità “lago di Arcagna”. L’inventario del 29 maggio del 1668 stilato da don Bassano Serozzolani presente presso l’archivio parrocchiale, ci fornisce una prima succinta descrizione dell’edificio di culto di Arcagna: “Situata questa chiesa saprà la casta d’Adda, lungi tre miglia dalla città di Lodi, vicina alla strada Monzasca. Il suo cimiterio verso sera è cinto di legname con forma di canneti, nel luogo si eleva una croce assai alta fatta di legno”.
L’antica chiesa era annessa al Castello di Arcagna, che ebbe sua dignità almeno fino al 1679. quando poi divenne abitazione e in parte fu adibito in osteria di cui ancora si vedono le volte. Notizie degli interni di questo luogo di culto ne abbiamo a partire dal 1583: in particolare in merito ai due altari della chiesa, uno definito Maggiore e l’altro dedicato alla Beata Vergine Maria entrambi di laterizio cioè di mattoni in cotto. Quest’ultimo era collocato nell’unica cappella laterale.
La chiesa divenuta parrocchiale nel 1602, subisce una prima ristrutturazione sulle basi dell’edificio antico nel 1615 che si protrae di fatto fino al 1628. Infatti una annotazione del parroco Quintilio Brigatti, datata 1696, riporta che nell’anno 1628 è stata fabbricata in Arcagna, la chiesa, “fatta in volta e solata d’astrico” a cui, nello stesso anno viene aggiunto un capitello in facciata “per farvi la Dottrina ai fanciulli”. Già nel 1026. grazie ai contributi della popolazione locale, la chiesa risultava dotata di un campanile con due campane e di due altari: il Maggiore e quello con dedicazione alla Beata Vergine Maria di antica fatta, entrambi di cotto. Il vescovo Clemente Gera che la visitò in mezzo a varie peripezie nel 1632, la definì nuova di costruzione, solida e di elegante semplicità. Le rifiniture dell’edificio continuano negli anni, descrizioni e inventari della chiesa si susseguono dal 1660 al 1668. Leggiamo dalle nostre preziose fonti che dal lato destro dell’edificio parrocchiale era collocato un orto circondato dai pergolati e dal lato sinistro trovavano posto le camere parrocchiali “in tre cassi solati di cotto in una si trovava il forno e il pozo, i locali superiori erano cinque”, il “”candido” campanile e la sacrestia “fatta di cotto solata d’astrico soffittata di legno”. l,e finestre erano due a destra e sinistra del Coro e un’altra in mezzo “con le sue inferiate, ferate e ragnate. Un’altra finestra era posta sopra la porta della chiesa e davanti trovava spazio il sagrato “per sepelire li defunti”. All’interno vi era un piccolo Tabernacolo con l’ostia consacrata. Il Coro era costituito da panche che servivano per custodire la cera, la biancheria, il lino e anche le offerte. Nel 1668 emergono altri dettagli circa il santuario il cui interno era “corniciato di rosso e dalla cornice al solame abbellita da alcune pitture dei santi…”. La facciata era fatta di cotto, di colore bianco, aveva 4 nicchie per potervi collocare delle statue di santi, che al momento erano vuote con una finestrina nel mezzo. Sopra questa facciata erano collocate alcune colonette di cotto di forma piramidale, “quella in mezzo sostenta una croce di ferro. Il capitello di cotto era in volto, tutto financo, et corniciato era sostenuto da due colonne di marmo. Con le concatenature di ferro ricoperte di cotto, nel mezzo vi era la porta di cotto in risalto: vi era sopra il sito per dipingervi l’effige della Santa tutelare…”.
Il coro della chiesa “in risalto di cotto, sostentava un architrave dorato già esistente nel 1640, nel mezzo del quale vi era l’immagine del Salvatore penante sopra la croce”: sotto ai piedi si scorgeva l’effigie della morte con quella dell’Altissimo sacrato e “solata di cotto…”. L’altare maggiore risulta grande ed era posto sopra un gradino di pietra: sopra di questo si ammirava un antico Tabernacolo.. semidorato. Il battistero “era una capelleta di cotto… con alcune pitture smarite ornata”. Il fonte sacrato era di marmo. Inoltre la navata della chiesa annoverava un pulpito di legno, cassette delle elemosine, effigie appese al muro rappresentanti le grazie ricevute, confessionale, crocifissi per le processioni, alcune panche. Ci fermiamo qui, per altre curiosità e altri particolari rimandiamo al bel testo di Barbieri, Canevara e Parazzi che abbonda nel riportare stralci degli inventari rinvenuti presso l’Archivio parrocchiale di Arcagna relativi all’edificio.
Sul finire del secolo, nel 1679 il vescovo Menatti annota la presenza di un organino posto sul portale d’ingresso atto a dare più dignità alla funzioni religiose, fu in tale occasione che la finestrella che dava sulla facciata venne murata.
Nello stesso anno venne ripristinata l’immagine dell’Assunta. Nel 1696 la chiesa si arricchisce della cantoria corredata da organo, che sarà sostituito nel 1763 con uno nuovo ad otto registri. Anni prima nel 1697 il parroco don Quintino Brigatti aveva costruito una macchinetta con tasti in legno che era utilizzata durante il periodo pasquale a sostituzione del suono delle campane. L’ultima notizia concerne l’altare maggiore del santuario che viene sostituito con un altro proveniente da una chiesa di Lodi intitolata a S. Geminiano in via di smantellamento, nel 1789.

Nella ricostruzione delle vicende della chiesa di Arcagna, abbiamo però omesso come l’edificio sia assurto a dignità di santuario nel corso del tempo, e divenuto luogo devozionale da parte di molti fedeli. A tale proposito non potevamo esimerci dal riferire ciò che la tradizione racconta in merito al ritrovamento di una effigie della Vergine presso un campo in località Pantanasco. E per fare ciò lasciamo parlare Elisa Barbieri: “Anno del signore 1649, 26 aprile sull’antica strada Monzasca, nel latifondo della cascina Pantanasco, un contadino sta arando il campo detto di san Gervaso. Improvvisamente il vomere urta qualcosa di molto duro; i buoi arrestano bruscamente la loro avanzata e dal terreno viene estratto un frammento di muro dov’è raffigurata una “immagine dipinta della Beata Vergine. Il cielo all’improvviso si rasserena dopo due settimane di pioggia incessante; seguono altri eventi miracolosi. Al parroco di Arcagna don Baldassarre Burlotti, torna repentinamente la voce dopo due anni; l’affittuario di Pantanasco guarisce da una grave forma di artrite di cui soffriva da tempo”. Il frammento di muro con il dipinto della Madonna Assunta e Incoronata, diventa subito una reliquia e viene trasportalo nella cappella della Madonna del Rosario nella chiesa di Arcagna con l’appellativo di Madonna del Gabòn. Tale nome deriva dal gigantesco olmo, visibile ancora oggi, appunto “Il Gabon” a cui rami è appesa una riproduzione della Madonna di Arcagna per ricordare il luogo del suo ritrovamento.

Si registra che nelle fonti documentarie coeve non vi è accenno all’avvenimento: anche gli scritti del vescovo Monsignor Pietro Vidoni (1644 -1669) e del parroco di Arcagna don Baldassarre Burlotti (1643-1661) non fanno riferimento all’accaduto, probabilmente per un eccesso di prudenza, che da sempre la Chiesa è tenuta ad osservare davanti a simili episodi di eventi miracolosi. Infatti bisognerà aspettare l’anno 1849. quando il parroco di Arcagna don Angelo Beza istituisce il 21 novembre la festa della Traslazione che celebrerà il rinvenimento della sacra immagine quattrocentesca e il suo trasporto presso la parrocchiale.

L’altare dedicato alla Beata Vergine era già esistente nel 1583, la sua dedicazione porla a ipotizzare che avesse già un’immagine della Madonna, ovviamente non l’attuale. L’altare si trovava nella parte destra della Chiesa “in una cappella in rivolta di cotto tutto dipinta, si con immagini de quindici misteri, si con altre pitture, nel mezo vi è l’effige dell’istessa (Beata Vergine), coperta da una vetriata e tendina damaschino roso, abellita da alcuni fiorami in argento, che veniva illuminala da una finestra posta sopra il capo di codesta effige. Già nel 1770. il culto della Vergine di Arcagna era diffusissimo e tale era la sua devozione e venerazione da parte dei fedeli che sostenevano: “per mezzo dell’immagine si ottengono da Dio moltissime grazie, come si può vedere dalle tavolette appese al di fuori di detta cappella”. Presso questa cappella nel 1618 fu eretta ufficialmente la Confraternita del Santissimo Rosario da padre Domenicano Vincenzo Bisnate; da cui la Cappella prese il nome del Rosario. Gli appartenenti a questo sodalizio, che vide la sua espansione nel corso del Seicento, avevano l’obbligo alla recita settimanale del rosario. Ottenuto il riconoscimento papale come attesta il ”Sommario delle Indulgenze e Grazie spirituali…” godevano della possibilità dei benefici delle indulgenze. A fianco alla confraternita del Santissimo Rosario nel 1618 vennero istituite presso le parrocchiali di Arcagna. e di Montanaso le confraternite della Dottrina Cristiana e del Santissimo Sacramento, sotto Monsignor Seghizzi. Le “scuole” radunavano laici, coniugati e non di entrambi i sessi che erano uniti da interessi devozionali. Quella intitolata al S. Sacramento aveva, tra le scuole, un ruolo primario: i suoi adepti erano devoti del culto eucaristico e si adoperavano nella manutenzione dell’altare Maggiore presente in ogni chiesa, soprattutto si preoccupavano di fornire cera per l’altare e olio per la lampada che ardeva davanti al Santissimo. Il parroco era tenuto alla celebrazione, per i solidali, della messa presso l’altare Maggiore e al conferimento delle cariche e nomine dei fratelli, deputati e priori. La confraternita della Dottrina Cristiana sorta intorno alla metà del Cinquecento aveva come finalità la catechesi da diffondere tra le giovani generazioni. Cerosa riporta che compito dei pescatori era il richiamo alla scuola domenicale dei ragazzi che gironzolavano in piazza e nei cascinali.

(notizie tratte da “Storia di Montanaso Lombardo e Arcagna dalle origini al XX secolo” di V. Sala)


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